L’artista nascosto tra le pieghe di un attore

In questi anni in cui il “bravo attore” non è quello bravo per davvero, ma quello che piace per il suo aspetto fisico – e che solo per quello fa “vendere” – è facile dimenticarsi che il cinema è, di fatto, “la settima arte”.
Ormai sono pochi gli attori – uso il termine maschile, come vuole la grammatica italiana, per comprendere esponenti di ambo i sessi – che si elevano al di sopra dei loro colleghi non per la loro bellezza, ma per le loro capacità interpretative.
Il mondo del cinema, oggi, è popolato dai vari Brad Pitt, Daniel Craig e Russel Crowe del momento – così come la musica è afflitta dai fenomeni alla Justin Bieber – che oscurano tutto il resto… O meglio, tutti gli altri.
Sono i “grandi nomi” che ricevono la “pubblicità” che dovrebbe essere destinata non tanto a chi fa film più profondi – perchè il grande attore è grande anche quando recita ruoli ridicoli – quanto a chi è più bravo, professionalmente parlando.

Gregory Peck nei panni di Atticus Finch

Gregory Peck nei panni di Atticus Finch

E in questo panorama, mi dico spesso, attori come Gregory Peck non farebbero carriera per le  loro incredibili capacità recitative, ma perchè sono “piacevoli alla vista”.
E mi dico anche che, se fossero vissuti oggi, probabilmente non avremmo mai potuto vedere dei capolavori – per di più coraggiosi, anche e soprattutto per il periodo ed il contesto storico in cui sono stati girati – come “Il buio oltre la siepe“.
Quello era il periodo in cui a Hollywood ancora sapevano sfornare prodotti di qualità – commedie comprese, e non quell’accozzaglia di parloacce, demenza e ignoranza che oggi si fa passare per comicità – che piacevano ad ogni genere di pubblico, o quasi.

James Dean

James Dean

Volendo portare altri esempi, i primi che mi vengono in mente sono “Gioventù bruciata” e “La vita è meravigliosa” – ma anche, rimanendo in tema di commedie, “A qualcuno piace caldo” e “Gli uomini preferiscono le bionde” – anche se, a ben guardare, la maggior parte dei film di quel periodo sono dei piccolo capolaori, per un motivo o per l’altro.

Gli attori – quegli attori, quanto meno . sono artisti tanto quanto può esserlo un pittore o uno scultore.
Perchè, infondo, che cos’è l’arte, se non un’espressione materiale di un qualsivoglia tipo che suscita – non solo in chi la crea, ma soprattutto in chi la guarda – una qualche reazione?
L’arte è emozione… e come ci si può emozionare davanti a qualcosa che non dice niente?
Guardare porcate assolute come “Bastardi senza gloria” mi lascia tanto indifferente come guardare un quadro d’arte moderna.
Probabilmente, mi emozionerei di più a risolvere algoritmi… e considerando che evito la matematica ad ogni costo, è un bel dire!
Un bravo attore – un grande attore – è quello che è capace di trasmettere l’emozione che il suo personaggio sta provando solo con uno sguardo o con la voce; un bravo attore è quello che riesce a far amare o a far odiare il suo personaggio – indipendentemente da quali sono i sentimenti dello spettatore nei confronti dell’attore stesso – perchè la sua interpretazione è così eccezionale, così superba che, quando lo guardi all’opera, non vedi più l’attore, ma solo il personaggio che egli interpreta.
Un bravo attore, come dicevo prima, non è diverso da un pittore: gli occhi sono il suo stile artistico, la voce i suoi pennelli e la gestualità la sua bravura a dipingere, su quella grande tela che è il pubblico che l’osserva, la vita di un personaggio le cui vicende noi, spettatori inermi di fronte agli accadimenti cui assistiamo in modo remoto ma non passivo, non possiamo far altro che vivere con lui.
Purtroppo, oggi, di attori così ce ne sono fin troppo pochi.

Devo però anche riconoscere che, nella marea di film che vengono sfornati ogni sacrosanto anno da Hollywood, alcuni spiccano più degli altri non per la profondità della trama, nè per l’uso degli effetti speciali o la bellezza della colonna sonora. No, spiccano perchè racchiudono al loro interno una perla di bellezza incommensurabile: l’interpretazione di uno o due attori che svolgono il loro compito con sublime abilità.

Meryl Streep -

Meryl Streep come Margareth Thatcher in una delle scene del film “The Iron Lady”

È questo il caso, per esempio, di “The Iron Lady“: a tratti disconnesso, difficile da seguire per chi di storia sa poco più delle basi – e purtroppo il numero di queste persone aumenta ogni anno che passa – ma caratterizzato da una grande, grandissima Meryl Streep che mi ha fatto amare questo film nonostante le sue molte pecche. La Streep, che giustamente ha ricevuto i premi più alti della cinematografia per questo ruolo, ha reso un interpretazione sublime – resa ancora di più tale dal fatto che racconta una storia vera e che è in grado di far apprezzare anche un mostro della politica, che personalmente non ho mai amato, qual era Margareth Thatcher.
Il racconto di come questa donna sia passata dall’essere una ragazza in un paese in guerra alla “Dama di Ferro” che ha retto la Gran Bretagna per undici anni, viene reso in una luce quasi idealistica dalla Streep non tanto per quello che la signora Thatcher è riuscita ad ottenere, quanto per la sua capacità di ottenerlo. Come spesso succede, anche in questo caso la meta raggiunta non è importante tanto quanto il viaggio fatto per raggiungerla.
E con questa interpretazione, come con tantissime altre prima di questa – vedi per esempio “I Ponti di Madison County“, con un altrettanto grande Clint Eastwood – Meryl Streep si è confermata una vera “stella”, di quelle che lo sono per bravura e non per commercio, alla stregua proprio di quel Gregory Peck cui ho accennato prima.
E come Peck – il cui Atticus Finch è, per quanto mi riguarda, forse il più bel personaggio che mai sia stato reso a livello cinematografico – anche la Streep si dimostra un’attrice che bada più a quello che fa, che non ai riconoscimenti che dal suo lavoro derivano.

Ma questi esempi sono pochi e spesso troppo diluiti nel tempo per costituire una vera e propria regola, all’interno di quello che è il panorama cinematografico “non indipendente”, cioè quello delle grandi case produttrici di Hollywood.
Piuttosto, si tratta di eccezioni che, purtroppo, non fanno altro che confermare la regola. E tutto questo, solo perchè alla base di tutto c’è il dio denaro, ed è più facile ottenerlo producendo boiate che prodotti di qualità.
Anche in questo, come in molte altre cose, troppe spesso torna ad essere applicata una delle massime più famose di Machiavelli.
Mi spiace però dire che non concordo affatto: il fine non giustifica mai i mezzi.

Non provo alcuna vergogna nel dire che i film di oggi, per la maggior parte almeno, sono una gran perdita di tempo e non valgono i soldi del biglietto. Ma oggi, purtroppo, sembra che il pubblico abbia troppa paura di sentirsi dare dell’ignorante, o dello stupido, perchè non apprezza questi film. È la stessa cosa che succede con i film di Fellini: nessuno li capisce, ma per non ammetterlo tutti dicono che sono dei capolavori.

Magari mi sbaglio, ma mi rifiuto di ammettere la possibilità che il mondo sia abitato da una manica di zotici buzzurri che sanno solo ridere quando sentono battute sporche e compiacersi delle disgrazia idiote – e proprio per questo giudicate “esilaranti” – che capitano ai protagonisti sul grande schermo.

Frank Capra

Frank Capra

Preferisco credere che sia passato il tempo dei film che fanno pensare – e che per questo si sono accantonati i capolavori di grandi registi come Frank Capra – non perchè la gente non ha più i mezzi per riflettere su ciò che vede, e quindi s’imbottisce delle porcate alla J.J. Abrams o alla Quentin Tarantino – ma perchè la gente è stanca di dover usare il cervello anche quando va al cinema e preferisce, invece, svagarsi.
Preferisco credere che sia più facile guardare dei bellocci al cinema perchè il mondo è già abbastanza pieno di bruttura nella vita di tutti i giorni, per non meritarsi qualcosa di “bello” ogni tanto, e non perchè conta più l’apparire dell’essere.